Pagina:Guglielminetti - La porta della gioia, Milano, Vitagliano, 1920.djvu/158

Da Wikisource.


amalia guglielminetti

vi avrebbe scaraventato il suo rivale e in piedi in faccia a sua moglie con le mani in tasca, piegava ad ogni nuovo sospetto su di lei la sua faccia congestionata d’uomo sconvolto dalla più collerica gelosia.

Alle ultime parole Fausta non ribattè. S’alzò quasi a fatica appoggiandosi allo schienale della poltrona, s’avviò lenta, pallidissima e silenziosa alla sua camera.

Suo marito la guardò uscire, poi s’abbandonò inerte su quella stessa poltrona, con gli occhi chiusi e la fronte tra le mani. E a poco a poco sbolliva la sua ira e vi succedeva una calma torbida e pesante in cui cominciava a risorgere la coscienza della sua assurdità e della sua ingiustizia.

Attese un quarto d’ora senza osare di andare in cerca di Fausta. Ma quando già sgomento e pentito s’alzava per correre a rintracciarla, per chiederle umilmente perdono delle ingiurie e delle accuse, ella gli apparve d’un tratto dinanzi, vestita del suo ampio mantello da viaggio, col piccolo cappello circondato da un fitto velo e la sua valigietta di cuoio di Russia.

— Vado da mia zia, — ella lo avvertì brevemente. — Parto ora col diretto della sera.

E si volse per uscire. Ma suo marito le balzò incontro, l’afferrò duramente ad un braccio, le parlò fosco sul viso:

156 -