Pagina:Guglielminetti - La porta della gioia, Milano, Vitagliano, 1920.djvu/50

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amalia guglielminetti

sicuro che gli permettesse di conservarsi entrambi questi beni quasi egualmente oggi necessari alla sua vita: l’amore dell’amante e la fedeltà della moglie, ma non trovò nel proprio cervello nemmeno l’ombra di un espediente che non fosse grottesco o malfido.

Silvio Altoviti rincasò all’ora di colazione, e sedendo a tavola con la faccia più indifferente che la sua inquietudine gli permettesse, osservava sua moglie con uno sguardo nuovo, come una persona diversa dal consueto e ancora sconosciuta.

Ma la sua vivacità di donna graziosa, grassottella e bionda come una bambola, i suoi gesti spigliati, il suo ridere frequente, erano quelli di ogni giorno, e non svelavano la vigile agitazione di una donna che medita per la prima volta di tradire suo marito.

— Sai, — ella informò, al caffè, — ho licenziato stamane la mia cameriera. Mi era venuta in uggia con quei suoi capelli rossi.

— Solo per questo l’hai licenziata? — egli chiese con un sorriso leggermente sarcastico.

— Ah, no! — ella rise gaiamente, — la rimproverai perchè mi ruppe uno specchio, e invece di chiedermi scusa mi diede una rispostaccia insolente. Ce n’era abbastanza, mi pare, per cacciarla sui due piedi.

— Ma certo, — approvò Silvio distratto,

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