Pagina:Guglielminetti - La porta della gioia, Milano, Vitagliano, 1920.djvu/53

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fedeltà

della sua persona che più lo avevano attirato: un piccolo guizzo nervoso che si ripeteva spesso all’angolo sinistro della sua bocca, la linea snella della sua caviglia, o la sottigliezza dei suoi polsi, lo turbavano a tratti con la lucidità visiva.

Silvio Altoviti aveva già consumato in questo inutile dibattito alcune ore e innumerevoli sigarette, quando udì picchiare all’uscio e subito dopo sua moglie lo avvertiva col più dolce dei suoi sorrisi:

— Sai, Silvio, le tue valigie sono preparate, e questa sera farò sollecitare il pranzo per poterti accompagnare alla stazione.

«Ah! — sogghignò Silvio fra sè, — ella ha dunque una gran voglia di vedermi partire, non solo, ma per assicurarsi ch’io me ne vada davvero e mi cacci in un diretto che non si fermerà prima di due ore, ha perfino stabilito d’accompagnarmi alla stazione».

E immediatamente, per un violento bisogno di contraddizione e per la maligna gioia di sconcertare tutti i suoi colpevoli piani con una sola, parola, egli le sollevò in faccia due occhi calmi e rispose con voce blanda:

— No, cara. Non t’incomodare perchè non parto più.

— E per quale ragione?— ella interrogò frenando uno scatto nervoso.

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