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Il bell'Arturo 121

tardandosi per via ad osservare i gioielli magnifici disposti sui velluti cupi delle vetrine, come costellazioni su cieli illuni, le pellicce preziose, felinamente distese oltre i cristalli, come fiere ancora vive in agguato, i grandi cappelli gravi come tiare per le piccole teste femminili fasciate di chiome attorte. E si sentì prossimo e pronto a quella chiara felicità ch’egli sentiva di ben meritare.

Dopo dieci giorni la risposta giunse. Arturo la dissuggellò col cuore pesante come una pietra e alle prime linee si lasciò cadere in una poltrona. La lettera fredda e cortese chiedeva scusa del ritardo e lo attribuiva alle necessità di prudenza e di calma con cui un cauto informatore aveva assunto il suo delicato còmpito. Soggiungeva che dolorosamente tali informazioni non erano risultate troppo favorevoli al suo desiderio e alla sua domanda e che il tutore e nonno della signorina Franca si sentiva, per onestà di coscienza e per dovere, costretto a rispondergli con un rifiuto. Egli s’indugiava quindi in qualche consiglio e terminava con queste parole: “Se venir chiamato “il bell’Arturo„ ed essere considerato un uomo pericoloso per le donne può parere titolo di gloria a un giovine elegante nella società elegante, non è a parer mio, sufficiente