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solcata di cicatrici, deformata, grottesca, spaventevole?

Eppure non c’era dubbio: quello era il volto di Flora Conti, era la nuova maschera umana che il beffardo destino, valendosi d’un fatto qualsiasi, dell’urto di due automobili nella notte, aveva impresso recentemente su quella forma di donna, la quale brillava fino a poche settimane innanzi di chiara grazia e di mirabile freschezza.

Sposa ad Attilio Conti da appena un anno, poco più che ventenne, adorata amante del giovine marito, lo aveva visto partire per la guerra chiamato fra i primi e da allora seguendolo giorno per giorno di lontano con l’ansia vigilante della sua passione, le era sembrato di proteggerlo contro il pericolo, si era illusa di salvarlo dal dolore e dalla morte mettendo il suo amore, la sua tenerezza, tutta se stessa fra lui ed il nemico.

Una sera, mentre Flora si trovava in villeggiatura con sua madre ricevette la lettera di un’amica la quale la informava storditamente che suo marito doveva passare il domani con alcuni compagni d’armi qualche ora in città, in seguito ad un improvviso ordine del Comando.

La notizia non era che una vaga diceria rac-