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Pagina:Guicciardini, Francesco – Dialogo e discorsi del reggimento di Firenze, 1932 – BEIC 1843020.djvu/203

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la decima scalata 197


penso abbino pretermesso, non perché gli mancassino ragione vere ed efficace da persuadervi questo, sendo la materia larghissima, ma perché non hanno voluto offendere quegli che esclamano contro a questa provisione, che sono persone potenti e de’ principali della cittá; la offesa de’ quali fuggirei ancora io volentieri, se non mi vincessi la affezione che io porto alla republica ed el desiderio che io ho di satisfare al debito mio. Governinsi gli altri con quelli rispetti che pare loro: io mi voglio ricordare essere buono cittadino e figliuolo di questo consiglio che oggi per grazia di Dio è el principe della cittá, e da lui posto nel numero dei suoi venerabili collegi, che non vuole dire altro che essere posto per guardia del bene universale contro alla voluntá dei potenti. Però liberamente e sanza rispetto dirò quello che io cognoscerò essere el beneficio del popolo, poi che sono suo figliuolo e ministro.

Coloro che si oppongono a questa provisione, allegano due ragione: l’una, che la è ingiusta, l’altra, che la è dannosa; ingiusta, perché è onesto che le gravezze siano equali, e questa è inequale, perché molti pagheranno solo una decima o una decima ed uno quarto delle entrate sue, altri ne pagheranno uno quinto, uno quarto ed uno terzo; dannosa, perché questo fa e’ ricchi poveri, che è detrimento delle cittá, perché sono quelli che l’onorano, e ne’ bisogni la aiutano, etiavi suvvengono con diversi modi alle necessitá de’ poveri; ed ogni governo bene ordinato ricerca che non si alterino le condizione di persona, ma si conservi ciascuno nel suo grado. Queste ragione paiono prima facie vere e belle, ma chi le considera piú a drento e non si lascia ingannare dalla superficie delle cose, le troverrá fallace e piene di vanitá.

Io dico che la provisione della decima scalata è giusta ed equale; e se pure la contiene ingiustizia ed inequalitá, è a disavantaggio de’ poveri e non de’ ricchi, perché quella gravezza s’ha a chiamare equale, che grava tanto el povero quanto el ricco; perché, e quando uno povero paga in commune una decima delle entrate sue ed uno ricco paga una decima, ancora che la decima del ricco getti piú che quella del povero,