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serie prima | 273 |
lo stato non aveva lo universale per inimico, perché a lui importava poco vedere lo stato piú in mano di questi che di quelli. Ma la memoria del vivere populare continuata dal 1494 al 1512 si è appiccata tanto nel popolo, che, eccetto quelli pochi che in uno stato stretto confidano di potere soprafare gli altri, el resto è inimico di chi è padrone dello stato, parendogli sia stato tolto a sé medesimo.
155. Non disegni alcuno in Firenze potersi fare capo di stato se non è della linea di Cosimo, la quale anche, a mantenervisi, ha bisogno de’ papati. Nessuno altro, e sia chi vuole, ha tante barbe o tanto séguito che vi possa pensare, se giá non vi fussi portato da uno vivere populare che ha bisogno di capi publici, come fu fatto a Piero Soderini; però chi aspira a questi gradi e non sia della linea de’ Medici ami el vivere del populo.
156. Le inclinazione e deliberazione de’ populi sono tanto fallace e menate piú spesso dal caso che dalla ragione, che chi regola el traino del vivere suo non in altro che in sulla speranza d’avere a essere grande col popolo, ha poco giudicio, perché a apporsi è piú ventura che senno.
157. Chi non ha in Firenze qualitá da farsi capo di stato, è pazzo a ingolfarsi tanto in uno stato, che corra tutta la fortuna sua con la fortuna di quello, perché è sanza comparazione maggiore la perdita che el guadagno. Né si metta alcuno a pericolo di diventare fuoruscito, perché non essendo noi capi di parte come sono gli Adorni e Fregosi di Genova, nessuno ci si fa incontro per intrattenerci; in modo che restiamo fuora sanza riputazione e sanza roba e ci bisogna mendicare la vita. Esempio abundante è a chi se ne ricorda Bernardo Rucellai; e la medesima ragione ci debbe consigliare a temporeggiarci, ed intrattenersi in modo con chi è capo di stato che non abbia causa di averci per inimici o sospetti.
F. Guicciardini, Opere - viii. | 18 |