Pagina:Guicciardini, Francesco – Storia d'Italia, Vol. I, 1929 – BEIC 1845433.djvu/127

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libro secondo — cap. I 121

e con molt’altri modi, ed eziandio col fare continuare diligentemente la cura de’ fossi, essersi sempre sforzati di farla frequente d’abitatori. La veritá delle quali cose era sí manifesta che con false lamentazioni e calunnie oscurare non si poteva. Essere permesso a ciascuno il desiderare di pervenire a migliore fortuna, ma dovere anche ciascuno pazientemente tollerare quello che la sorte sua gli ha dato; altrimenti confondersi tutte le signorie e tutti gl’imperi, se a ciascuno che è suddito fusse lecito il cercare di diventare libero. Né riputare necessario a’ fiorentini l’affaticarsi per persuadere a Carlo, cristianissimo re di Francia, quel che appartenesse a lui di fare; perché, essendo re sapientissimo e giustissimo, si rendevano certi non si lascerebbe sollevare da querele e calunnie tanto vane e si ricorderebbe da se stesso quel ch’avesse promesso innanzi che l’esercito suo fusse ricevuto in Pisa, quel che sí solennemente avesse giurato in Firenze; considerando che quanto un re è piú potente e maggiore tanto gli è piú glorioso l’usare la sua potenza per conservazione della giustizia e della fede.

Appariva manifestamente che da Carlo erano con piú benigni orecchi uditi i pisani, e che per beneficio loro desiderava che, durante la guerra di Napoli, l’offese tra tutte due le parti si sospendessino, o che i fiorentini consentissino che il contado tutto si tenesse da lui, affermando che, acquistato che avesse Napoli, metterebbe subito a esecuzione le cose convenute in Firenze; il che i fiorentini, essendo giá sospette loro tutte le parole del re, costantemente recusavano, ricercandolo con grande instanza dell’osservanza delle promesse. A’ quali per mostrare di sodisfare, ma veramente per fare opera d’avere da loro innanzi al tempo debito i settantamila ducati promessigli, mandò, nel tempo medesimo partí da Roma, il cardinale di San Malò a Firenze, simulando co’ fiorentini di mandarlo per sodisfare alle dimande loro; ma in segreto gli ordinò che, pascendogli di speranza insino che gli dessino i danari, lasciasse finalmente le cose nel grado medesimo: della quale fraude se bene i fiorentini avessino non piccola dubitazione, nondimeno gli pagorono quarantamila ducati, de’