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162 storia d'italia

Nondimeno, quando cominciando a calare la montagna scopersono l’esercito alloggiato con numero infinito di tende e di padiglioni, e in alloggiamento sí largo che, secondo il costume d’Italia, poteva dentro a quello mettersi tutto in battaglia, considerando il numero degli inimici sí grande, e che se non avessino avuto volontá di combattere non si sarebbono condotti in luogo tanto vicino, cominciò a raffreddarsi in modo tanta arroganza che arebbono avuto per nuova felice che gli italiani si fussino contentati di lasciargli passare; e tanto piú che, avendo Carlo scritto al duca d’Orliens che si facesse innanzi per incontrarlo, e che il terzo dí di luglio si trovasse con piú genti potesse a Piacenza, e da lui avuto risposta che non mancherebbe d’esservi al tempo ordinatogli, ebbe poi nuovo avviso dal duca medesimo che l’esercito sforzesco opposto a lui, nel quale erano novecento uomini d’arme mille dugento cavalli leggieri e cinquemila fanti, era sí potente che senza manifestissimo pericolo non poteva farsi innanzi, essendo massime necessitato a lasciare parte della sua gente alla guardia di Novara e d’Asti. Però il re, necessitato a fare nuovi pensieri, commesse a Filippo monsignore di Argenton, il quale, essendo stato poco innanzi imbasciadore per lui appresso al senato viniziano, aveva nel partirsi da Vinegia offerto al Pisano e al Trivisano, giá diputati proveditori, d’affaticarsi per disporre l’animo del re alla pace, che mandasse un trombetto a detti proveditori, significando per una lettera d’avere desiderio per beneficio comune di parlare con loro; i quali accettorono di ritrovarsi seco, la mattina seguente, in luogo comodo tra l’uno e l’altro esercito. Ma Carlo, o perché in quello alloggiamento patisse di vettovaglie o per altra cagione, mutato proposito, deliberò di non aspettare quivi l’effetto di questo ragionamento.