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disperati di ottenerlo per forza, si voltorono a ottenerlo per trattato, infelice a chi ne fu autore. Perché avendo uno moro che vi era dentro promesso fraudolentemente al marchese di Pescara, stato giá suo padrone, di metterlo dentro, e perciò condottolo una notte in su una scala di legno appoggiata alle mura del monasterio a parlare seco, per stabilire l’ora e il modo di entrare la notte medesima, fu quivi con trattato doppio ammazzato con una freccia di una balestra che gli passò la gola. Né fu alle cose di Ferdinando poco importante la mutazione, prima di Prospero e poi di Fabbrizio Colonna; i quali, benché durante l’obligazione della condotta col re di Francia, passorono, quasi subito che ebbe recuperato Napoli, agli stipendi suoi, scusandosi non gli essere stati fatti a’ tempi debiti i pagamenti promessi, e che Verginio Orsino e il conte di Pitigliano erano stati, con poco rispetto de’ meriti loro, molto carezzati dal re: ragione che a molti parve inferiore alla grandezza de’ benefici ricevuti da lui. Ma chi sa se quello che ragionevolmente doveva essere il freno a ritenergli fusse lo stimolo a fargli fare il contrario: perché quanto erano maggiori i premi che possedevano tanto fu, per avventura, piú potente in loro, poiché vedevano cominciare giá a declinare le cose franzesi, la cupiditá del conservargli. Ristretto in questo modo il castello, e serrato il mare da’ navili di Ferdinando, cresceva continuamente il mancamento delle vettovaglie; e si sostentava solo con la speranza d’avere soccorso per mare, di Francia; perché Carlo, subito che era giunto in Asti, mandato Perone di Baccie, aveva fatto partire, dal porto di Villafranca appresso a Nizza, un’armata marittima che portava dumila tra guasconi e svizzeri e provedimento di vettovaglie; fattone capitano monsignore di Arbano, uomo bellicoso ma non esperimentato nel mare. La quale, condottasi insino all’isola di Ponzo, avendo scoperta all’intorno l’armata di Ferdinando che aveva trenta vele e due navi grosse genovesi, subito si messe in fuga; e seguitata insino all’isola dell’Elba, avendo perduta una navetta biscaina, si rifuggí con tanto spavento nel porto di Livorno che e’ non fu in potestá del capitano