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ratificorno espressamente il lodo dato; ma non l’addizioni, non ancora pervenute a notizia loro. Maggiore fu la indegnazione e l’ambiguitá de’ pisani: i quali, concitati maravigliosamente contro al nome viniziano e insospettiti di maggiore fraude, subito che ebbono inteso quel che si conteneva nel lodo, rimossono le genti loro dalla guardia delle fortezze di Pisa e delle porte né vollono che piú alloggiassino nella cittá, e stetteno in dubitazione grande molti dí se accettavano le condizioni del lodo o no; piegandogli da una parte il timore, poiché si vedevano abbandonati da tutti, da altra tenendogli fermi l’odio de’ fiorentini, e molto piú la disperazione di avere a trovare perdono per la grandezza delle offese fatte e per essere stati cagione di infinite spese e danni loro, e di avergli messo piú volte in pericolo della propria libertá. Nella quale ambiguitá benché il duca di Milano gli confortasse a cedere, offerendo di essere mezzo co’ fiorentini a vantaggiare le condizioni del lodo, nondimeno, per tentare se in lui fusse piú l’antica cupiditá e disposti in tal caso a darsegli liberamente, gli mandorono imbasciadori; e finalmente, dopo lunghi pensieri e agitazioni, determinorono di tentare prima ogni cosa estrema che tornare sotto il dominio de’ fiorentini: e a questo furono occultamente confortati da’ genovesi da’ lucchesi e da Pandolfo Petrucci. Né stettono i fiorentini senza sospetto che ’l duca di Milano, benché la veritá fusse in contrario, non gli avesse confortati al medesimo: tanto poco si aspetta sinceritá o opere fedeli da chi è venuto in concetto degli uomini di essere solito a governarsi con duplicitá e con artifici. Ma a’ fiorentini, esclusi dalla speranza di ottenere Pisa per accordo, parve avere occasione opportuna di espugnare quella cittá; però, fatto ritornare nel contado di Pisa Pagolo Vitelli, sollecitavano con diligenza grande le provisioni richieste da lui.