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sforzandosi, con tutta la perizia e arte sua, d’acquistare al continuo maggiore opportunitá per dare piú sicuramente la battaglia generale e ordinata. La quale, benché giá avesse condotto le cose in grado che qualunque volta si desse sperasse molto la vittoria, differiva volentieri di dare, perché tanto piú si diminuisse il danno dello esercito e si avesse maggiore certezza di ottenerla: con tutto che i commissari de’ fiorentini, a’ quali ogni minima dilazione era molestissima, e riscaldati con lettere e messi continui da Firenze, non cessasseno di stimolarlo che con l’accelerare prevenisse agl’impedimenti che a ogn’ora potrebbeno nascere. Il quale consiglio di Pagolo, forse piú prudente e piú secondo la disciplina militare, ebbe contraria la fortuna. Perché essendo il paese di Pisa, che è pieno di stagni e di paludi tra la marina vicina e la cittá, sottoposto in quella stagione dell’anno a pestiferi venti, e specialmente da quella parte onde era alloggiato il campo, sopravenneno in due dí nello esercito infinite infermitá; per le quali, quando Pagolo volle dare la battaglia, che fu il vigesimo quarto dí di agosto, si accorse essere fatto inutile tanto numero di genti, ché quegli che erano sani non bastavano a darla: il quale disordine benché i fiorentini ed egli, oppresso come gli altri da infermitá, si ingegnassino di ristorare col soldare nuovi fanti, nondimeno la influenza prevaleva talmente che era ogni dí molto maggiore la diminuzione che il supplemento. Però, disperato in ultimo di potere piú conseguire la vittoria e dubitando di qualche danno, deliberò levare il campo; contradicendo molto i fiorentini, perché desideravano che, messa nella fortezza di Stampace sufficiente guardia, si fermasse con l’esercito appresso a Pisa. La qual cosa disprezzata da lui, perché la rocca di Stampace, conquassata prima molto dalle artiglierie sue e poi da quelle de’ pisani, non si poteva difendere, abbandonatala, ridusse il quarto dí di settembre tutto il campo alla via della marina; e diffidandosi di potere condurre per terra l’artiglieria a Cascina, perché dalle pioggie erano soffocate le strade, la imbarcò alla foce d’Arno perché si conducesse a Livorno: ma mostrandosi in ogni cosa avversa la for-