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106 storia d'italia

mansueti umanissime dimostrazioni e parole. Vietò che nel suo reame alcuno segno di publica allegrezza non si facesse; e affermò piú volte alla presenza di molti che, con tutto non avesse errato né contro alla sedia apostolica né contro al pontefice, né fatto cosa alcuna se non provocato e necessitato, nondimeno, che per riverenza di quella sedia voleva umiliarsi e dimandargli perdono; persuadendosi che certificato per l’esperienza, delle difficoltá che aveano i suoi concetti, e assicurato del sospetto avuto vanamente di lui, avesse a desiderare la pace con tutto l’animo: il trattato della quale non si era mai intermesso totalmente, perché il pontefice, insino innanzi si partisse da Bologna, aveva per questa cagione mandato al re lo imbasciadore del re di Scozia, continuando di trattare quel che, per il medesimo vescovo, si era cominciato a trattare col vescovo Gurgense. L’autoritá del re seguitando i Bentivogli, significavano al pontefice non volere essere contumaci o rebelli della Chiesa ma perseverare in quella subiezione nella quale aveva tanti anni continuato il padre loro: in segno di che, restituito il vescovo di Chiusi alla libertá, l’aveano, secondo l’uso antico, collocato nel palazzo come apostolico luogotenente.

Partí adunque il Triulzio con l’esercito, e si accostò alla Mirandola per ricuperarla; con tutto che, per i prieghi di Giovanfrancesco Pico, vi fusse entrato Vitfrust sotto colore di tenerla in nome di Cesare, e protestato al Triulzio che essendo giurisdizione dello imperio si astenesse da offenderla. Il quale alla fine, conoscendo che l’autoritá vana non bastava, se ne partí, ricevute da lui certe promesse, piú tosto apparenti per l’onore di Cesare che sostanziali; e il medesimo fece Giovanfrancesco, impetrato che fusse salvo l’avere e le persone: e il Triulzio, non avendo da fare altra espedizione, mandate cinquecento lancie e mille trecento fanti tedeschi, sotto il capitano Iacob, alla custodia di Verona, licenziò gli altri fanti, eccetto duemila cinquecento guasconi sotto Molard e Mongirone; i quali e le genti d’arme distribuí per le terre del ducato di Milano.