Pagina:Guicciardini, Francesco – Storia d'Italia, Vol. III, 1929 – BEIC 1846967.djvu/17

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libro nono - cap. iii 11

duto la patria nostra, a vederla di presente; siamo certi non potrá contenere le lagrime, considerando che quella cittá che, benché piccola di circuito, soleva essere pienissima di popolo, superbissima di pompe, illustre per tante magnifiche e ricche case, ricetto continuo di tutti i forestieri, quella cittá dove non si attendeva ad altro che a conviti a giostre e a piaceri, sia ora quasi desolata di abitatori, le donne e gli uomini vestiti vilissimamente, non vi essere piú aperta casa alcuna, non vi essere alcuno che possa promettersi di avere modo di sostentare sé e la famiglia sua pure per uno mese, e in cambio di magnificenze, di feste e di piaceri non si vedere e sentire altro che miserie, lamentazioni publiche di tutti gli uomini, pianti miserabili per tutte le strade di tutte le donne: le quali sarebbono ancora maggiori se non ci ricordassimo che dalla volontá tua, gloriosissimo principe di Anault, depende o l’ultima desolazione di quella afflittissima nostra patria o la speranza di potere, sotto l’ombra di Cesare, sotto il governo della sapienza e clemenza tua, non diciamo respirare o risorgere, perché questo è impossibile, ma, consumando la vita per ogni estremitá, fuggire almeno l’ultimo eccidio. Speriamo, perché ci è nota la benignitá e umanitá tua, perché è verisimile che tu vogli imitare Cesare, degli esempli, della clemenza e mansuetudine del quale è piena tutta l’Europa. Sono consumate le sostanze nostre, sono finite tutte le nostre speranze, non ci è piú altro che le vite e le persone: nelle quali incrudelire, che frutto sarebbe a Cesare? che laude a te? Supplichiamti con umilissimi prieghi, (i quali immaginati essere mescolati con pianti miserabili d’ogni sesso, d’ogni etá, d’ogni ordine della nostra cittá) che tu voglia che Vicenza infelice sia esempio a tutti gli altri della mansuetudine dello imperio tedesco, sia simile alla clemenza e alla magnanimitá de’ vostri maggiori; che trovandosi vittoriosi in Italia conservorono le cittá vinte, eleggendole molti di loro per propria abitazione: donde, con gloria grande del sangue germanico, discesono tante case illustri in Italia, quegli da Gonzaga quegli da Carrara quegli dalla Scala, antichi giá signori nostri. Sia esempio,