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delle artiglierie, avevano sempre acquistato di terreno; né fu di poco momento la giunta dell’Alviano, che sopravenendo in tempo che la battaglia era ancor dubbia dette animo a i franzesi e spavento a i svizzeri, credendo essere con lui tutto l’esercito viniziano. Il numero de’ morti, se mai fu incerto in battaglia alcuna, come quasi sempre è in tutte, fu in questa incertissimo; variando assai gli uomini nel parlarne, chi per passione chi per errore. Affermorono alcuni essere morti de’ svizzeri piú di quattordicimila; altri dicevano di dieci, i piú moderati di ottomila, né mancò chi volesse ristrignergli a tremila; capi tutti ignobili e di nomi oscuri. Ma de’ franzesi morirno, nella battaglia della notte, Francesco fratello del duca di Borbone, Imbricort, Sanserro, il principe di Talamonte figliuolo del la Tramoglia, Boisí nipote giá del cardinale di Roano, il conte di Sasart, Catelart di Savoia, Busichio e Moia che portava la insegna de’ gentiluomini del re; tutte persone chiare per nobiltá e grandezza di stati o per avere gradi onorati nello esercito. E del numero de’ morti di loro si parlò, per le medesime cagioni, variamente; affermando alcuni esserne morti seimila, altri che non piú di tremila: tra’ quali morirno alcuni capitani de’ fanti tedeschi.

Ritirati che furono i svizzeri in Milano, essendo in grandissima discordia o di convenire col re di Francia o di fermarsi alla difesa di Milano, quegli capitani i quali prima avevano trattata la concordia, cercando cagione meno inonesta di partirsi, dimandorono danari a Massimiliano Sforza, il quale era manifestissimo essere impotente a darne; e dipoi tutti i fanti, confortandogli a questo Rostio capitano generale, si partirono il dí seguente per andarsene per la via di Como al paese loro, data speranza al duca di ritornare presto a soccorrere il castello, nel quale rimanevano mille cinquecento svizzeri e cinquecento fanti italiani. Con questa speranza Massimiliano Sforza, accompagnato da Giovanni da Gonzaga e da Ieronimo Morone e da alcuni altri gentiluomini milanesi, si rinchiuse nel castello, avendo consentito, benché non senza difficoltá, che Francesco duca di Bari suo fratello se ne andasse in Ger-