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libro quartodecimo - cap. vi 111

e con piccola laude di Prospero, lentissimo per natura a fare correre i cavalli leggieri e a tutti i movimenti benché piccoli.

Simile fortuna aveano le cose di Cesare di lá da’ monti: perché, essendo dalla parte di Fiandra entrato nello stato del re di Francia con potente esercito, e posto il campo a Masera con speranza grande di ottenerla, trovando la espugnazione piú difficile e venendo il soccorso potente del re di Francia, si ritirò, con gravissimo pericolo che le genti sue non fussino rotte.

Ma in Italia non erano, per i successi infelici, allentati i pensieri della guerra; perché gli inimici de’ franzesi, non pensando piú alla espugnazione di Parma né di altre terre, deliberavano di entrare piú dentro, nel ducato di Milano; aggiugnendo all’esercito tanti fanti italiani che in tutto fussino seimila, i quali continuamente si soldavano. Alla quale deliberazione gli faceva procedere piú audacemente la speranza che agli stipendi del pontefice scendessino di nuovo dodicimila svizzeri: i quali se bene, da principio, il cardinale sedunense, che nelle diete procurava apertamente contro a’ franzesi, ed Ennio vescovo di Veroli nunzio apostolico e gli oratori di Cesare avessino recusati, perché non si concedevano se non per difesa dello stato della Chiesa e con espresso comandamento che non andassino a offendere lo stato del re di Francia, nondimeno, poiché altrimenti non gli potevano impetrare, gli aveano finalmente accettati eziandio con questa condizione; sperando, discesi che fussino in Italia, potere, mediante la loro avarizia e instabilitá e le corruttele e l’arti che si userebbono co’ capitani, indurgli a seguitare l’esercito contro al ducato di Milano. Né in questa deliberazione dell’andare innanzi era di molta dubitazione a quale parte s’avessino a dirizzare, perché nel continuare la guerra di qua dal fiume del Po apparivano manifestamente grandissime difficoltá: disperata era l’espugnazione di Parma; lasciandosi a dietro quella cittá bisognava andare a combattere con gli inimici, cosa evidentemente perniciosa perché erano alloggiati in luoghi forti e agli alloggiamenti disposta opportunamente copia grandissima di artiglierie;