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libro quartodecimo - cap. ix | 125 |
IX
Esaltò insino al cielo la passata dell’Adda il nome di Prospero, il quale prima, per la ritirata di Parma e per la lentezza del suo procedere, era infame a Roma e in tutto l’esercito; ma cancellandosi spesso per l’ultime cose la memoria delle prime, si celebravano popolarmente le laudi sue, che senza sangue e senza pericolo, ma totalmente con consiglio e con industria degna di peritissimo capitano, avesse furato agli inimici il passo di quel fiume; il quale Lautrech si prometteva tanto di proibirgli che, oltre a quello che ne diceva publicamente, avesse scritto al re che assolutamente lo impedirebbe. E nondimeno non mancavano di quegli che, con ragioni o vere o apparenti, si sforzassino di estenuare la gloria di questo fatto, allegando non avere avuta virtú o industria rara né la invenzione né l’esecuzione, perché la natura da se stessa insegna a ciascuno che truova opposizione a’ fiumi o passi stretti di cercare di passare o di sopra o da basso, dove non sia chi impedisca; il passo di Vauri essere stato propinquo, opportunissimo e passo per l’ordinario frequentato, e Lautrech essere stato tanto negligente a farlo guardare che la negligenza sua non avea lasciato luogo alla industria; perché, in quale altra cosa potersi commendare la providenza di Prospero che nell’avere provedute occultamente le barche, e governata la cosa col silenzio necessario? Altri, forse troppo diligenti giudici delle cose, e piú pronti a riprendere gli errori dubbi che a laudare l’opere certe, non contenti di diminuire la fama della sua industria, riprendevano che in lui non fusse stata né la providenza né l’ordine conveniente; perché non avendo mandato comandamento alle genti destinate al soccorso, le quali