Pagina:Guicciardini, Francesco – Storia d'Italia, Vol. IV, 1929 – BEIC 1847812.djvu/187

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libro quintodecimodecimo - cap. ii 181

colo, quando induce gli uomini a potersi riposare e alleggierirsi dalle spese; ma quando partorisse gli effetti contrari è, sotto nome insidioso di pace, perniciosa guerra; è, sotto nome di medicina salutifera, pestifero veleno. Se adunque il fare noi confederazione con Cesare esclude il re di Francia dalle imprese d’Italia, dá a lui facoltá di occupare ad arbitrio suo il ducato di Milano, occupato quello pensare a deprimere noi, ne séguita che noi comperiamo, con grandissima infamia del nome nostro con maculare la fede di questa republica, la grandezza di un principe il quale non ha manco distesa l’ambizione che la potenza e che pretende, egli e il fratello, che tutto quello che noi possediamo in terra ferma appartenga a loro; e che escludiamo da Italia uno principe che con la grandezza assicuri la libertá di tutti gli altri e che sarebbe necessitato a essere congiuntissimo con noi. Chi propone queste ragioni, tanto evidenti e tanto palpabili, non può giá essere imputato che lo muova l’affezione piú che la veritá, piú gli interessi propri che l’amore della republica. Della salute della quale non abbiamo da dubitare, se Dio alle vostre deliberazioni concederá tanto di felicitá quanto ha conceduto di sapienza a questo eccellentissimo senato. —

Ma in contrario Giorgio Cornaro, cittadino di pari autoritá e di nome celebrato di prudenza quanto alcuno altro di quel senato, si oppose con orazione tale a questo consiglio: — Grande certamente, prestantissimi senatori, e molto difficile è la presente deliberazione; nondimeno, quando io considero quale sia ne’ tempi nostri l’ambizione e la infedeltá de’ príncipi e quanto la natura loro sia difforme dalla natura delle republiche, le quali, non si governando con l’appetito di uno solo ma col consentimento di molti, procedono con piú moderazione e maggiori rispetti, né si partono mai sfacciatamente, come spesso fanno essi, da quel che ha qualche apparenza di giusto e di onesto, io non posso se non risolvermi che a noi sia perniciosissimo che il ducato di Milano sia di uno principe piú potente che noi, perché una tale vicinitá ci necessita a stare in continui sospetti e tormenti e, ancora che siamo