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libro decimottavo- cap. ii 105

che per la passata de’ tedeschi e dell’armata fusse succeduto in Italia, non dava risposta certa, mettendo eccezione ne’ mandati de’ collegati come se non fussino sufficienti. Mandò anche il re a Roma, per favorire la impresa del regno di Napoli, Valdemonte fratello del duca del Loreno, che per l’antiche ragioni del re Renato pretendeva alla successione di quello reame. Ma al pontefice noceva appresso a confederati il trattare continuamente la concordia col viceré, dubitando che a ogn’ora non convenisse seco, e però parendo quasi inutile al re di Francia e a’ viniziani tutto quello che spendessino per sostenerlo: la quale suspizione accresceva il timore estremo che appariva in lui e i protesti cotidiani di non potere piú sostenere la guerra, aggiunto all’ostinazione di non volere creare cardinali per denari, né aiutarsi, in tanta necessitá e in tanto pericolo della Chiesa, co’ modi consueti, eziandio nelle imprese ambiziose e ingiuste, agli altri pontefici. Donde il re e i viniziani, per essere preparati a qualunque caso, si erano particolarmente riobligati di non fare concordia con Cesare l’uno senza l’altro; per la quale cagione il re, e per la speranza grande datagli dal re di Inghilterra di fare con lui, se convenivano del parentado, movimenti grandi alla prossima primavera, diventava piú negligente a’ pericoli d’Italia.


II

Inutili tentativi del viceré contro Frosinone. Tregua fra il pontefice e il viceré, e offerte di Cesare al pontefice. Ritirata dell’esercito del viceré da Frosinone.

Sollecitava in questo tempo il viceré di assaltare lo stato della Chiesa: dal quale essendo stati mandati dumila fanti spagnuoli a dare la battaglia a uno piccolo castello di Stefano Colonna, ne furono ributtati; e per lo spignersi egli innanzi, gli ecclesiastici lasciorno indietro la deliberazione fatta di battere Rocca di Papa; le genti del quale luogo avevano occupato Castel Gandolfo, posseduto dal cardinale di Monte, per