Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
LIBRO VIGESIMO
I
Posto, per la pace e confederazione predetta, fine a sí lunghe e gravi guerre, continuate piú di otto anni con accidenti tanto orribili, restò Italia tutta libera da’ tumulti e da’ pericoli delle armi, eccetto la cittá di Firenze; la guerra della quale aveva giovato alla pace degli altri, ma la pace degli altri aggravava la guerra loro. Perché, come le difficoltá che si trattavano furono in modo digerite che non si dubitava la concordia dovere avere perfezione, Cesare, levate le genti dello stato de’ viniziani, mandò quattromila fanti tedeschi, dumila cinquecento fanti spagnuoli, ottocento italiani, piú di trecento cavalli leggieri, con venticinque pezzi d’artiglieria, alla guerra contro a’ fiorentini. Nella quale si erano fatte pochissime fazioni, né a pena degne di essere scritte: non bastando l’animo a quegli di fuora di combattere la cittá, né essendo pronti quegli di dentro a tentare la fortuna; perché, reputando d’avere modo a difendersi molti mesi, speravano che, o per mancamento di danari o per altri accidenti, gli inimici non avessino a starvi lungamente. Aveva perciò il principe mandato mille cinquecento