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Pagina:Guicciardini, Francesco – Storia d'Italia, Vol. V, 1929 – BEIC 1848561.djvu/54

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48 storia d'italia

alacritá in compagnia de’ soldati le nostre persone, il dí e la notte, a tutte le guardie a tutte le fazioni militari a tutti i pericoli; quando, il dí che si combatté alla Bicocca, il popolo di Milano con tanta ferocia difese il ponte, per il quale passo solo speravano i franzesi potere penetrare negli alloggiamenti dell’esercito cesareo. Allora da Prospero Colonna dal marchese di Pescara dagli altri capitani, insino da Cesare medesimo, era magnificata la nostra fede, esaltata insino al cielo la nostra costanza. Delle quali cose chi è migliore e piú certo testimonio che voi che, presente nella guerra dello ammiraglio, vedesti, lodasti, anzi spesso vi maravigliasti di tanta fedeltá, di tanto ardente disposizione? Ma cessi in tutto la memoria di queste cose, non si compensino i demeriti co’ benemeriti. Considerinsi le azioni presenti: non recusiamo pena alcuna se nel popolo di Milano apparisce vestigio di malo animo contro a Cesare. Amava certamente il popolo di Milano grandemente Francesco Sforza come principe stato dato da Cesare, come quello del quale il padre l’avolo il fratello erano stati nostri signori, e per l’espettazione che s’aveva della sua virtú; e per queste cagioni ci fu molestissimo lo spoglio suo, fatto subitamente senza conoscere la causa, non essendo noi certificati che avesse macchinato contro a Cesare, anzi affermandosi, per lui e per molti altri, essere stata piú presto cupiditá di chi allora governava l’esercito che commissione cesarea: e nondimeno la cittá tutta giurò in nome di Cesare, sottoponendosi alla ubbidienza de’ capitani. Questa è stata la deliberazione della cittá di Milano, questo il consentimento publico, questo il consiglio, e specialmente della nobiltá; la quale che ragione, che giustizia, che esempio consente che abbia a essere per i delitti particolari con tanta atrocitá lacerata? Ma non apparí anche ne’ dí medesimi de’ tumulti la fede nostra? perché, nella sollevazione della moltitudine, chi altri che noi si interpose con l’autoritá e co’ prieghi a fargli deporre l’armi? chi altri che noi, l’ultimo dí del tumulto, persuase a’ capi e a’ giovani sediziosi che si partissino della cittá? alla moltitudine, che si sottomettesse alla ubbidienza de’ capitani? Ma e