Pagina:Guicciardini, Francesco – Storie fiorentine dal 1378 al 1509, 1931 – BEIC 1849436.djvu/351

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cittá venuta di nuovo in libertá e perturbata da una guerra continua e pericolosa, si trattavano le occorrenzie con piú ferocia che non è consueto in una vita civile. Di questo cominciò a calare la autoritá di quegli che a principio erano piú grandi, e succedendo di poi che e’ fiorentini occuporono quasi tutto el contado, e cosi la piú parte di chi aveva facultá, che erano quegli di sopra, avendo perduto le possessione e le entrate sua, vennono in sospetto, come se per ricuperare la roba loro desiderassino accordarsi con fiorentini; in modo che el governo di ogni cosa si ridusse in quegli che erano piú in sulle arme e che avevano meno che perdere, e gli altri, eccetto quegli che nella rebellione di Pisa si erono valuti di robe de’ fiorentini o erano loro debitori, cominciorono a essere tenuti depressi.

Con costoro che erono in sulle arme, concorreva el contado, e’ quali per essere di numero assai, erano di momento grande e però erano carezzati e si trovavano ne’ magistrati e nelle deliberazione; ma perché erano uomini grossi ed ignoranti, ne erano, nelle resoluzioni che si avevano a fare, menati da quegli altri con mille arte e mille lettere vane; ed a loro bastava essere contenti di tutto quello volevano ottenere. Nondimeno questi ultimi, stracchi dalla lunghezza della guerra e vedendosi tórre ogni anno le ricolte, si erano cominciati a piegare e arebbono piú volte preso partito, se la disperazione del non potere trovare misericordia da’ fiorentini, nel quale dubio quegli di sopra li nutrivono, non gli avessino ritenuti; ma cominciando a prestare fede a Filippo di Puccierello ed avendo qualche confidenzia che Alamanno avessi a essere buono mezzo a fare osservare le cose promesse, si voltorono alla via dello accordo e feciono intendere a’ cittadini.