Pagina:Guicciardini, Francesco – Storie fiorentine dal 1378 al 1509, 1931 – BEIC 1849436.djvu/357

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NOTA 3À 1 La punteggiatura è scarsissima e rudimentale. Raro l’uso del punto fermo. Le pause sono quasi sempre indicate coi due punti. Del tutto capriccioso e irregolare l’uso delle maiuscole. Questa opera rimase sconosciuta fino al 1859, anno dell’edizione Canestrini, ma neppure dopo questa data fu fatta oggetto di studio particolare. L’unica trattazione di una certa ampiezza, ma di poco valore, è quella del Gioda che le dedicò un capitolo del suo volumeC 1 ).

Della sua storia intrinseca poco o nulla sappiamo. Una datazione precisa si può tuttavia desumere dalle parole dello stesso autore il quale scrive (c. XXI, p. 219): «E questo modo di giudicare che si chiamò consiglio di giustizia o vero Ruota dura ancora che siano a di 23 di febraio 1508...». Nulla ci permette di accogliere l’ipotesi del Gioda( 2 ) che vorrebbe riferita tale datazione ad un primo abbozzo, del quale il nostro testo sarebbe una piú tarda rielaborazione. In questo caso il Guicciardini avrebbe certo tolta o modificata codesta frase; e ad ogni modo il carattere giovanile del lavoro è provato dal fatto dell’incompiuta documentazione, quale appare dalle numerose lacune di nomi e di date. Si può dunque affermare con sicurezza che le Storie fiorentine, quali ci sono pervenute, furono iniziate intorno al 150S e molto probabilmente messe da parte prima del 1512. Quanto alle numerose correzioni ed aggiunte non possiamo in alcun modo precisare se furono eseguite a poca distanza dalla prima stesura o in epoca posteriore; in appoggio della prima ipotesi, oltreché il carattere delle aggiunte piú vicino a quello del testo che a quello delle opere piú tarde, sta il fatto che se il Guicciardini avesse ripreso in esame il suo lavoro in etá piú matura avrebbe certo completato date e nomi mancanti.

Osserviamo finalmente che il nostro codice non rappresenta il primo getto dell’opera, ma una copia che lo stesso autore dovette fare da un abbozzo. Ciò è provato non solo dal carattere relativamente calligrafico del manoscritto ma anche dai frequenti salti di frasi ai quali lo scrivente pone subito rimedio cancellando la frase o la parola (qualche volta una parte di parola) scritta per errore e che trova il suo posto poco dopo.

(1) C. Gioda, Guicciardini e le sue opere inedite. Bologna, Zanichelli, 18S0 (Cap. X).

(2) Op. cit., p. 43S.