Pagina:Guidiccioni, Giovanni – Rime, 1912 – BEIC 1850335.djvu/163

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LXXV

L’ha sognato impietosito: fosse vero!

— Pon giú l’affanno ornai, ché ’l tempo e ’l vero
hanno in me vinto ogni indurato affetto
e deposto ho lo sdegno e quel sospetto
che fe’ parermi oltra misura altiero.

Or tocco e veggio col giudicio intiero
quel che tu m’hai ben mille volte detto;
per amico t’abbraccio e ’l chiaro obietto
rendo a que’ sensi ch’a me giá ti diero. —

Con si dolci conforti e si soavi
Amor mi apparve e dal mio petto mesto
sgombrava tutti i pensier tristi e gravi.

Non so se m’era addormentato o desto,
ma voi, ch’avete del mio cor le chiavi,
deh, fate si che non sia sogno questo.

I.XXVI

A Guido Sensi.

Non è volgare amore il suo.

Guido, se per tua guida eleggi ’l senso
che sol guarda a la scorza e non si sganna,
con qual ragione il tuo rigor mi danna,
se per alta cagion sospiro e penso?

Non è ’l mio petto in volgar fuoco accenso,
come tu credi, e teco altri s’inganna,
né fral bellezza il mio vedere appanna,
ma di chiara virtute un raggio intenso;

virtute in terra che risplende e luce
nei sereni occhi e nel parlare accorto
ch’ad alto oprare ogni cor basso induce:

in me luogo non ha, dal di che porto
la sembianza nel cor di questa luce,
pensiero indegno o desir cieco e torto.