Pagina:Guidiccioni, Giovanni – Rime, 1912 – BEIC 1850335.djvu/166

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A che fuggi, meschin, sotto quel tetto
seco la pioggia e cerchi altra fornace?
a che mostrar bagnati gli occhi e ’l petto
e ’l core acceso di piú ardente face,
s’ei prende del tuo mal gioco e diletto?

Vedi che gioia ti promette e pace
con parole cortesi in vista e fide,
poi con Tirsi di te motteggia e ride.
5
Tirsi, rivai tuo vero e finto amico,
che, per coprir la fiamma ond’ei si sface,
fa coprir te dopo un cespuglio antico
ed udir come Alessi a lui non tace
che t’odia e sprezza e ti è crudel nimico
e fuor ch’i versi in te nulla gli piace;
e per piú scorno poi Tirsi ammonisce
ch’a te ridica che ’l tuo amor gradisce.
6
Udendo ciò con le tue orecchie istesse,
qual fia ’l tuo core e ’l tuo consiglio allora?
or qual nodo saria che non rompesse
si giusto sdegno? E, non pur sazio ancora,
col rio Dolon nova tragedia tesse,
e del martir che fa provarti ogn’ora
e de la tua si lunga sofferenza
ne fa scena ai pastori in tua presenza.
7
Tre veggio tuoi rivali, ognun gradito,

Dolone e Tirsi e ’l rustico Montano;

te solo esser deriso e te schernito,

te sol trovare ogni rimedio vano,

e se hai grazia talor d’esser udito

e ’l cor mostrargli in atto umile e piano,

quanto è piú grande il tuo cordoglio e ’l pianto,

e la durezza in lui cresce altrettanto.