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Pagina:Guidiccioni, Giovanni – Rime, 1912 – BEIC 1850335.djvu/179

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corallo, avorio o cosa altra simile
de la sua bocca al bel vermiglio, al bianco,
ed al parlar non giunge alcuno stile;

né ritrar posso col mio dir giá stanco
e le mani e le braccia e ’l petto e ’l collo,
le gambe e i piedi e l’uno e l’altro fianco.

Nudo il bel corpo, s’alcun mai mirollo,
sembra la dea che ’l Vatican vagheggia
in vivo marmo col suo chiaro Apollo.

O fermi gli occhi o giri, o vada o seggia,
o parli o taccia, o sia pensoso o lieto,
di grazia Pito e Pasitea pareggia.

Col ciglio, che può far tranquillo e queto
il mar, quando è piú irato, a me si volse
affabile, benigno e mansueto;

e fra cinqu’altri che in disparte accolse,

10 fui pel sesto al bel numero eletto,
come Fortuna, Amore e ’l Destin volse.

Cosi, fuggendo ’l sole, a noi fèr letto
sotto grat’ombre, fresch’erbette e nove
e sino a sera stemmo in quel diletto.

Io non potea rivolger gli occhi altrove
che nel bel viso e contemplava intento
quei divini occhi da far arder Giove:

vedea l’erba fiorir, fermarsi ’l vento,
pur che movesse piede o braccio o mano
e gli rideva intorno ogni elemento:
mi sembrava celeste e non umano

11 riso, il canto, il suon de la favella
e d’ogni indegnitá sempre lontano.

Sicilia ancor di Galatea favella;
ma simile a costui mai non vedremo,
e l’etá prisca venga e la novella.

Non discoperse mai vela né remo
del vostro re sotto ’l piú ardente clima
si novo antropofago o polifemo,
che non avesse l’amorosa lima
sentita al muover di si dolci rai
e giú deposta ogni fierezza prima.