Pagina:Guidiccioni, Giovanni – Rime, 1912 – BEIC 1850335.djvu/22

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XX

Poich’è morta, lo richiami seco in cielo.

Tu che con gli occhi ove i piú ricchi e veri
trionfi addusse e tenne ’l seggio Amore,
festi pago il desio, dolce il dolore
e serenasti i torbidi pensieri;

tu (potrò in tanto duol mai dirlo?), ch’eri
specchio di leggiadria, di vero onore,
sei spenta ed io pur vivo in si poche ore,
misero esempio degli amanti altèri.

Aprasi il tetro mio career terreno,
e tu, vero e novo angelo celeste,
prega il Signor che ini raccolga teco,
e per te salvo sia nel bel sereno
eterno, come fui felice in queste
nubi mortali, ov’or son egro e cieco.

XXI


Lei morta, è disperato.

Vorrei tacere, Amore,
gli affanni e’ dolor miei
per non turbare il bel viso sereno,
e perché quel c’ ho in core
con lingua non potrei
né con la penna mai narrare appieno;
e son di stupor pieno
com’io lo dica o scriva,
pensando a quelle sole
dolci estreme parole,
cagion che ’n tante pene ardendo viva,
ed a la bianca mano

che la mia strinse, ond’or la piango invano.