Pagina:Guidiccioni, Giovanni – Rime, 1912 – BEIC 1850335.djvu/24

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Almo terren felice,
le chiare piante tocchi
e godi quel che ’l ciel m’adombra e toglie!
Deh, perché a me non lice
contemplar que’ begli occhi
e saziar le mie oneste accese voglie?
perché l’alte mie doglie
non ponno trasformarsi
nel primo dolce stato?

Ahi, doloroso fato!

O cielo, o stelle, a mia salute scarsi,

qualche mercé vi giunga;

ch’io piú non posso e questa guerra è lunga.

O poverella mia, fra’ boschi nata,
se ’l ciel pietá non volve,
presto mi vederai ridotto in polve.

XXII


Dal cielo scenda a consolarlo in sogno.

Anima eletta, il cui leggiadro velo
die’ lume e forza al mio debile ingegno,
mentre agli strali de’ pensier fu segno,
che cosi casti ancor per téma celo,
scendi pietosa a consolar dal cielo
le mie notti dolenti; ch’è ben degno,
poiché si amara libertá disdegno,
e ’l cor giá sente de l’eterno gelo.

Solei pur, viva, in sogno, col bel volto
e con la voce angelica gradita
partir da me le piú noiose cure:

deh, perché, poiché morte ha ’l nodo sciolto
che strinse lo mio cor con la tua vita,
non fai tu chiare le mie notti oscure?