Pagina:Guidiccioni, Giovanni – Rime, 1912 – BEIC 1850335.djvu/31

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XXXIII

Alla nascita di lei arrideva l’universo.

Vaga e lucente perla,
che col splendor de’ tuoi bei raggi ardenti
porgi lume a le genti
e togli il vanto al sole,
odi le mie parole.

Dico che, quando al mondo
venisti, eran le stelle
liete, gioiose e belle
nel piú benigno ciel d’Amor accese,
e il pastorei d’Ameto un piú cortese
giorno mai non ne rese.

L’aria, la terra e Tacque

rider vedeansi, e le lascive aurette

coi fior scherzar e con le verdi erbette.

Né il tuo nome si tacque

per bocca degli augei, ch’a schiera a schiera

cantando facean dolce primavera.

Deh, perché non ho io
da lodarti’! poter come’l desio?

XXXIV


Senza vederla è inetto a vivere.

La bella e pura luce che ’n voi splende,
quasi imagin di Dio, nel sen mi desta
fermo pensier di sprezzar ciò che ’n questa
vita piú piace a chi men vede e ’ntende;

e si soavemente alluma e ’ncende
l’alma, cui piú non è cura molesta,
ch’ella corre al bel lume ardita e presta,
senza cui il viver suo teme e riprende.

Né mi sovvien di quel beato punto
ch’ondeggiar vidi i bei crin d’oro al sole
e raddoppiar di nova luce il giorno,

ch’io non lodi lo strai ch’ai cor m’è giunto,
e eh’ io non preghi Amor che, come suole,
non gl’incresca di far meco soggiorno.