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che m’ hai tolto di pace e posto in guerra
E chi m’asconde la mia gatta in terra?
colma si di virtute
che, a dir, tutte le lingue sarian mute,
quant’ella fu costumata e gentile:
ne l’etá puerile
imputar se le puote un error solo,
mangiarmi su l’armario un raviggiuolo.
Taccio de’ suoi maggior la stirpe antica,
come da Nino a Ciro, a Dario, a Serse
il seme si disperse
poi in Grecia, indi a le nostre regioni,
allor ch’ei la fortuna mal sofferse
ne le strette Termopile nimica;
perché il dolor in’intrica
né lascia punto eh’ io di lei ragioni.
Però sua cortesia lo mi perdoni,
s’io non parlo di lei tanto alto e scrivo;
causa è che non arrivo,
come conviene, il dolor, eh’è si forte
che mi conduce a morte,
non trovandola meco a passeggiare
e sopra il desco a cena o a desinare.
Miser, mentre per casa gli occhi giro,
la veggio e dico: qui prima s’assise;
ecco ov’ella sorrise;
ecco ov’ella scherzando il piè mi morse;
qui sempre tenne in me le luci fise;
qui ste’ pensosa e dopo un gran sospiro,
rivoltatasi in giro,
tutta lieta ver’ me subito corse
e la sua man mi porse;
quivi saltando poi dal braccio al seno,
d’onesti baci pieno
le dicea infin: tu sei la mia speranza;
ahi dura rimembranza!
semiala, poi che ’l corpo avea satollo,
posarmisi dormendo sempre in collo.
Ma quel ch’avanza ogni altra maraviglia
è raccolta vederla in qualche canto