Pagina:Guidiccioni, Giovanni – Rime, 1912 – BEIC 1850335.djvu/33

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XXXVII

Spera nel suo canto renderla eterna.

Donna, ch’avete ne’ begli occhi santi
quanta piove virtú dal terzo cielo,
per far gioir il cor, ch’ivi entro celo,
e dipartirlo dagli antichi pianti,
da questi aitato, a’ pensier ciechi erranti
ch’eran nel dritto oprar fatti di gelo,
mostro ho il vero camin, tolto quel velo
che tanti anni giá corsi ebbero innanti;

e spero, tua mercé, sguardo lucente,
che tacendo mi dici ch’io sempre ami,
quasi cigno gentil levarmi a volo,
e sovr’Arno cantar si che la gente
il nome tuo con la mia voce chiami
e lo serbi dal tempo intero e solo.

XXXVIII


Morte piú soave che vita.

Il bianco e dolce cigno
cantando muore, ed io
piagnendo giungo al fin del viver mio.
Strana e diversa sorte:
ch’ei muore sconsolato,
ed io moro beato!

Dolce e soave morte,
a me vie piú gradita
ch’ogni gioiosa vita!

Morte, che nel morire

m’empi di gioia tutto e di desire,

per te son si felice,

ch’io moro e nasco a par de la fenice.