Pagina:Guidiccioni, Giovanni – Rime, 1912 – BEIC 1850335.djvu/81

Da Wikisource.

CXIX

A giovanetto Teoio
raccomanda la propria fama.

(circa il 1538)

Teoio gentil, s’al ver dritto si mira,
per l’erto calle a vera fama vassi,
ove tu movi i giovinetti passi
e dov’aura d’onor si dolce spira.

Gli anni spesi in mal uso invan sospira
ed a’ bei raggi de la gloria fassi
tepida neve lo mio cor, che, i bassi
desir vincendo, al buon sentier mi tira.

Ma giá cade al suo fin quest’egra vita,
né picciol tempo ornar mi potria il petto
de’ pregi bei che tu tra via t’acquisti.

Piacciati, poi che ’n cima a la salita
giunto sarai, pien di cortese affetto,
tórre a morte i miei giorni oscuri e tristi.

CXX


Ad Annibai Caro
loda il suo bel Carignano.

(agosto 1538)

Per me da questo mio romito monte,
men noioso e piú bel che ’l Vaticano,
scende, irrigando un bel pratello al piano,
e muor nel Serchio indi non lungi un fonte.

Qui prima piansi mie sventure e Ponte
di morte, ohimè! che lo splendor sovrano
degli occhi miei dal mondo orbo ed insano
spense in turbando la serena fronte.

Or, in memoria del mio pianto amaro
e di lei che beata è tra le prime,
sorge questo ruscel soave e chiaro.

Cingol di lauri ; e forse un di le cime
piegheranno al cantar del mio buon Caro,
mastro famoso di leggiadre rime.