Pagina:Guidiccioni, Giovanni – Rime, 1912 – BEIC 1850335.djvu/89

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Voi mi potreste dir: — Non però dèi,
se ben chiudi alto duol, dannoso scorno
63 a quei recar fra’ quai nudrito sei. —

Gli è ver, ma stimo che faran soggiorno
nel vostro seno, ov’io le sacro e chiudo,

66 Tirate rime mie; sicché a dir torno.

O pi ima bella etá che fusti scudo
contro i colpi de’ vizi, or de’ tuo’ onori
69 si ride il volgo vii, d’ogni ben nudo,

le cui speranze e li cui sconci amori,
senza punto mirar che fin ne segua,

72 riposte son nel ragunar tesori.

Qui tutti alzano il cor, né cosa adegua,
per mirabil che sia, gl’ingordi loro
75 macri desii, co’ quai non han mai tregua:

dicano i forsennati ampio ristoro
d’ogni affanno ritrar ’n un volger d’occhi
78 nel desiato fiammeggiar de Toro;

sovra cui par ch’ognor nèttare fiocchi,
s’il gustan col mirar, ma ognuno stassi
81 a vezzeggiarlo e non è piú ch’il tocchi.

Muover si vede servilmente i passi
a quest’e a quel per saper quando e come
84 fra la Francia e l’Imperio accordo fassi ;

non perché in pregio il bel gradito nome
di pace appo lor sia, ma perché stanno
87 oppressi da dolenti e gravi some,

perciò che se le cose indietro vanno
di Fiandra e de la Francia, ne la corte
90 non squarciali drappi e poche pompe fanno;

si scorge altri portar le guance smorte,
tutti affannati e sbigottiti starsi
93 a guisa di chi scherme con la morte;

s’odon di lor follia, di sé lagnarsi,
che fúr poco avveduti a mercar sete,

96 ora che i cambi son, se fúr mai, scarsi.

O del trist’oro scellerata sete,
quanto hai tu di vigor ne’ petti umani,

99 che tutti affondi i pensier belli in Lete!