Pagina:Guidiccioni, Giovanni – Rime, 1912 – BEIC 1850335.djvu/91

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io tengo pur la piú sublime parte
del bel governo e veggio che non sale
a tant’onor chi segue Apollo e Marte;

a voi l’ingegno consumar che vale,
se nel consiglio io fo sol con un cenno
fondata opinion labile e frale?

Ciascun, per oro aver, faria gran senno
tentar l’imprese non oneste e dure;
i ricchi sempre ogni lor voglia fenno:

l’oro apparecchia strane, alte venture
e seco porta si tranquilla gioia,
che tutte sgombra le spinose cure. —

Chilon, odi tu ciò, cui tanto annoia
vergognoso guadagno? Io provo un solo
vivo conforto fra cotanta noia:

che di qui prender vo’ spedito volo;
né con gli occhi vedrò quel che m’addoglia
si ch’a l’aura vital quasi m’involo;

non vedrò lacrimar l’alta lor doglia
a le povere genti meschinelle,
né maledir la lor mal presa spoglia,
né con le Tstrida batter ne le stelle
le vedov’orbe ed i pupilli afflitti,
che non han chi per lor sorga o favelle.

Vedi il testor, a cui son interditti
i sudor propri, ond’ei s’acquista vita,
portare in fronte i suoi dolori scritti;

e gemer la famiglia sbigottita
de l’artigian, le cui fatiche tiene
chi per piú ricco e largo il volgo addita;

e ’l villan scalzo e scinto che sen viene
con suon di man, rodendo assenzio e tòsco,
a narrar al dottor l’aspre sue pene,

ch’a viva forza il campo, il prato o ’l bosco
gli ha tolto il cittadino e lo minaccia
di morte o bando o di rio career fosco.

Queste, ch’ognuno a piú potere abbraccia,
opre ingiuste spuntar come mal germe
d’ora in ora veggiam, benché ne spiaccia.