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Pagina:Guido Carocci, Il ghetto di Firenze.djvu/36

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34 il ghetto di firenze


Poche famiglie israelitiche erano restate ad abitare alcuni dei quartieri più comodi e più eleganti, quelli che occupavano appunto gli antichi palagi della nobiltà fiorentina e che per la loro giacitura e per le condizioni d’aria e di luce potevano dirsi abbastanza belli e comodi. Non c’era però da compiacersi del vicinato. Le parti interne e quelle più modeste del Ghetto erano addirittura un nido di povera gente che vi si agglomerava, vi si ammassava, utilizzando ogni più piccolo e più meschino locale. I saloni antichi erano divisi e suddivisi per il lungo, per il largo, per l’alto; le soffitte, i sottoscala, gli anditi e perfino i sotterranei servivano di abitazioni e d’asilo a questa specie di colonia singolarissima che popolava l’antico quartiere di Firenze. Era un miscuglio strano, impossibile, di gente povera e onesta, d’operai e di venturieri disgraziati, di oziosi, di ladri, di donne perdute: un penoso accozzo, di miseria desolante, di depravazione disgustosa, di vizio incallito, di sconforto e di abiezione. Molte famiglie oneste e virtuose in mezzo alla loro miseria erano state costrette a rifugiarsi là dentro, e contentarsi di abitare poche, meschine, umide, buje e soffocanti stanzucce, non trovando