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356 nota


l’uomo, è il capolavoro della natura?». Intendo: È forse questo un pregio per esaltare la donna, la quale è superiore ad ogni cosa che si possa vedere o toccare? Il D’Ancona, nella stampa del codice, interpretò il «tale» del v. 9 come correlativo del «che» del v. 12 e quindi non pose il punto interrogativo al v. 11.

112, v. 4 segg. Intendo: poiché sa «dir» (cioè: essa dire, che essa dice) che è per lei cattivo (cioè che lo giudica cattivo). In questo modo egli fa sembrare a lei di usare (cioè: che egli (amante) usi) oltraggio, e di accogliere (cioè: che essa accolga, riceva, sopporti) orgoglio e reo padrone.

v. 9: «svantaggio»; il ms.: «vantaggio»; l’emendamento è del Pell. il quale ben notò che è reso necessario dalla coordinazione ideale dei due versi: E con ciò non penso di fare il danno, ma l’utile vostro, piú che il mio.

113, Strana composizione della quale non so, come non seppe il Pell., indicare neppure approssimativamente lo scopo e il senso. Sono sette versi dello stesso suono che si ripetono certo con significato diverso, che non m’è stato possibile precisare.

114, Anche questo son. appare nel suo complesso incomprensibile.

115, v. 3: «dico». Il Pell., per ristabilir la misura, emenda: «dico[te]». Forse è piú semplice pensare all’omissione di un «eo», o semplicemente «e» iniziale.

116, v. 11: «potè». Il Pell. emenda: «[poi] potè», ma l’aggiunta non mi sembra indispensabile.

117, v. 3. Ho emendato il testo del ms.: «ed a ragione il vi dirò io matto», secondo un’ipotesi, che il Pell. ha relegato in nota, ma che mi sembra opportuna per il senso.

118, Comincia con questo la serie dei sonetti conservataci dalla Giuntina di rime antiche (Libro ottavo, c. 89 r — 96 v), serie non completa, perché i primi sette e l’ultimo di quel nucleo non sono certamente da assegnare a Guittone. Degli altri uno ci è dato anche da altre fonti e corrisponde al son. 4; i rimanenti, che