Pagina:Hoffmann - Racconti I, Milano, 1835.djvu/148

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— Sarebbe meglio che non si sonasse che sonar così male, io ripresi. Non siete voi del mio parere?

— Io non sono di nessun parere, diss’egli. Siete voi sonatore o conoscitore della professione?...

— Voi vi ingannate, io non sono nè l’uno nè l’altro. Ho imparato già tempo a sonare un po’ il cembalo e il contrabbasso, come cosa necessaria per una buona educazione, e il mio maestro mi diceva che niente fa così cattivo effetto come una voce di contralto che procede col mezzo di ottave verso le corde basse. Ecco la mia autorità, io ve la do per quello che vale.

— Davvero! ei rispose. Lasciando allora il suo posto ei si diresse lentamente e con aria pensierosa verso i sonatori, alzando a molte riprese gli occhi al cielo e battendosi la fronte colla palma della mano, come uno che voglia risvegliare in sè una memoria. Io lo vidi da lungi parlare ai sonatori ch’egli trattò con un’altera dignità. Ei ritornò, ed appena ebbe ripreso il suo posto che si suonò la sinfonia d’Ifigenia in Aulide.