Pagina:Hymnus in Romam.djvu/92

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INNO A ROMA


dio, ch’era un legno putrido, ed ansante
non ravvisava, nel Mamurio irsuto,
Marte sè stesso. E scese alfin dal sommo
dell’arce, dietro gli altri dei consenti,
Giove pieno di nubi il sopracciglio.
"O già potenti in cielo, sulla terra,
nel mondo oscuro: fummo. Noi cacciammo
altri dal soglio, ed altri noi discaccia.
Ma non è vano l’aspettar vicenda.
Quel dio rifatto, a cui cedemmo contro
cuore, fuggiasco, povero, deforme,
il cui soglio è la croce, ed il cui serto
sono le spine dei roveti... „ Ed altro
egli diceva, ma seguì con voce
piena d’orrore la Carmenta antica
vaticinante, a nessun dio più nota,

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