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quale io poteva volerla, ma non valeva quella non volere. Et la constantia di aspectarla, per la incerta, infoelice, et trepida vita, suadevame. Omè che tale dissociatione di spirito me faceva di quella renitente, la sua qualitate respuere, et iustamente reluctare il suo malvagio advento. Perché fortemente incendevami cogitando.Heumè che sencia alcuno effecto dil mio immenso amore, tanto dolcemente infiammatosi, defructo dovesse perire, quantunque si al praesente caso repentina praesentata si fusse, unquantulo la harei aestimata. Ma incontinente ritornando al mio fixo et habituato obiecto, illachrymabondo per il perdimento di due tanto appetibile cose. Polia cioè et la pretiosa vita, quella sedulo invocante, cum suspirabile et singultive voce, intonante per quel denso aire, incluso sotto ingenti fornici, et nel latebroso loco contogato da me ad me dicendo. Si io moro quivi cusì misero et dolente, et in tutto sconsolato, chi merito successore sarae di tale et tanta appretiata gemma? Chi possiderà tanto inextimabile et talentoso thesoro? Quale serenato coelo raquistarà sì chiaro lume? O miserrimo Poliphilo ove perditissimo vai tu? Ove drici la tentata fuga? Ove speri più tu di revidere alcuno optato bene? Ecco abruptamente disiecti et interrotti tutti gli tui gratiosi piaceri fabricati da dolce amore nella impigliata mente. Ecco già in momento truncati et annihilati tutti gli tui amorosi et sì alti cogitamenti. Heu me quale iniqua sorte, et maligna stella te ha cusì perniciosamente in queste erumnose obscuritate conducto? Et copiosi et mortali languori crudelmente exposito et deiecto? Et alla saevissima voracitate et subitosa ingluvie di questo terrifico Dracone interituro destinato? Che heu me sia integro nelle foede et spurcissime et stercorarie viscere a putrefarmi traiectato? Et d’indi poscia al non cogitando exito fuori egesto? O plorabile et insueto interito, o exito dilla mia vita miserando, ove sono quegli ochi tanto sterili, sucti et exhausti, et privi di humore, che in grossissime lachryme stillanti non tutti se liquasseron? Ma ecco moribondo me che io a spalle il sento. Chi vide unque in sé rivoltata più atroce et difforme saevitia di fortuna? Ecco la infoelice et proterva morte, et la suprema hora et maledicto puncto alla praesentia, in questa tenebrosa opacitate, et che il corpo et la carne mia humana, sia sacietate di questa terribile bestia? Che feritate? Che rabie? Che miseria più monstrosa poteno gli mortali patire? che la dolce et amicabile luce ad gli viventi essere tolta, et la terra agli mortui denegata? O quanto ancora più larvosa calamitate et enorme miseria sì dolorosamente et tanto importuna optata abandonando la pergratissima mia et integerrima Polia, Vale, Vale dunque praestante lume di virtute et di omni vera et reale bellecia Vale. Per questa tale et cusì facta afflictione et perturbamento exagerato, oltra omni cogitato strugentime amaramente exasperava l’alma mia. Sopra tutto inten-