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Il cadavere del Grisoni gronda sangue dalla profonda ferita, e il De Pertzell ordina alla vettura di piazza di avvicinarsi per ricevere il defunto compagno; ma il vetturino, un certo soprannominato Beniamino, non volendo caricarsi di quel funereo peso, che lo spaventava; alla minaccia e alle preghiere degli ufficiali austriaci risponde frustando il cavallo e al galoppo scomparendo.
L’esempio del vetturino è contagioso, perchè Dembowsky, padrini e medico, alla loro volta si squagliano.
Il De Pertzell resta soletto col cadavere dell’amico, e solo pagando largamente alcuni contadini, ottiene che il cadavere del Grisoni sia trasportato nella casa vicina di Ambrogio Giani sindaco (cioè: deputato politico) di Gorla.
Il deputato politico, che non vuol noje, manda ad avvertire immediatamente la Direzione superiore di polizia di quanto è accaduto.
Abbandonata la salma del Grisoni alla custodia del Giani, il tenente de Pertzell corre a Milano e torna a Gorla, seguito da un carro militare e da alcuni soldati, ottenuti dalla caserma di S. Vittore.
Deposto il cadavere del Grisoni sul carro, il tenente De Pertzell lo precede a cavallo e a sera entra in Milano per Porta Nuova e di nascosto al Castello.
Il Comando militare informato della sciagura toccata al Grisoni ordina alla caserma di S. Simpliciano di fornire cavalli e carro per tradurre il morto fino a Lodi, ove alla mezzanotte precisa giunge alla caserma degli ussari del reggimento «Re di Sardegna», a S. Domenico.
Si fa correre subito la voce che il conte Grisoni è morto per una caduta da cavallo; mentre a Lodi, da Milano, giungono i medici militari, mandati per praticare l’autopsia del cadavere.
La ferita mortale profondissima è al petto. Però il volto è sfregiato e la mano sinistra è trapassata da parte a parte.