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La Vespa era venuta a vedere anche lei, colla calzetta al collo, e frugava per ogni dove, ora che era roba di suo zio. — Il «sangue non è acqua», — andava dicendo forte, perchè udisse anche il sordo. — A me mi sta nel cuore la roba di mio zio, come a lui deve stare a cuore la mia chiusa. Lo zio Crocifisso lasciava dire e non udiva, ora che dirimpetto si vedeva la porta di compare Alfio con tanto di catenaccio. — Adesso che alla porta di compare Alfio c’è il catenaccio, vi metterete il cuore in pace, e lo crederete che non penso a lui! — diceva la Vespa all’orecchio dello zio Crocifisso.
— Io ci ho il cuore in pace! — rispondeva lui: — sta tranquilla.
D’allora in poi i Malavoglia non osarono mostrarsi per le strade nè in chiesa la domenica, e andavano sino ad Acicastello per la messa, e nessuno li salutava più, nemmeno padron Cipolla, il quale andava dicendo: — Questa partaccia a me non la doveva fare padron ’Ntoni. Questo si chiama gabbare il prossimo, se ci aveva fatto mettere la mano di sua nuora nel debito dei lupini!
— Tale e quale come dice mia moglie! — aggiungeva mastro Zuppiddu. — Dice che dei Malavoglia adesso non ne vogliono nemmeno i cani.
Però quello scimunito di Brasi pestava i piedi e voleva la Mena, che gliel’avevano promessa, come fa un ragazzo davanti alle baracche dei balocchi alla fiera.
— Ti pare che io l’abbia rubata la tua roba, bietolone! — gli gridava il babbo, — per andarla a buttare con chi non ha niente!