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del capo, guardando i pulcini. Ci stava così attento, poveretto, che arrivava fino a dire che se avessero avuto la casa del nespolo si poteva allevarlo nel cortile, il maiale, giacchè quello era un guadagno sicuro con compare Naso. Nella casa del nespolo c’era pure la stalla pel vitello, e la tettoia pel mangime, e ogni cosa; se ne andava ricordando a poco a poco, cercando qua e là cogli occhi morti e col mento sul bastone. Poi domandava sottovoce alla nipote: — Cosa ha detto don Ciccio dell’ospedale? — Mena allora lo sgridava come si fa coi bambini, e gli rispondeva: — Perchè pensate a quelle cose? — Egli stava zitto, e ascoltava cheto cheto tutto quello che diceva la ragazza. Ma poi tornava a ripetere: — Non mi ci mandare all’ospedale, perchè non ci sono avvezzo.

Infine non si alzava più dal letto, e don Ciccio disse che era proprio finita, e non ci era più bisogno di lui, chè là in quel letto dove era, poteva starci anche degli anni, e Alessi o la Mena ed anche la Nunziata dovevano perdere le loro giornate a far la guardia; se no se lo sarebbero mangiato i porci, come trovavano l’uscio aperto.

Padron ’Ntoni intendeva benissimo quello che si diceva, perchè guardava tutti in viso ad uno ad uno, con certi occhi che facevano male a vedere; ed appena il medico se ne fu andato, mentre stava a parlare ancora sull’uscio con Mena che piangeva, e Alessi il quale diceva di no e batteva i piedi, fece segno alla Nunziata di accostarsi al letto, e le disse piano:


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