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Un dramma in mare 7

— Corriamo il pericolo di saltare in aria, — disse il capitano a bassa voce, per non farsi udire dai marinai.

— Dite?...

— Vi sono sei quintali di polvere sotto il carico di cotone. —

Colui che veniva chiamato Emilio, trasalì; poi, balzando sulla scaletta del cassero con un’agilità sorprendente, da far invidia al più svelto gabbiere di bordo, raggiunse i due comandanti.

— Siamo nelle mani di Dio, adunque — diss’egli, impugnando una scure.

— Sì, e non so se avremo il tempo di finire la zattera.

— Un giorno ero ufficiale di mare come voi, capitano e di tali costruzioni me ne intendo. In acqua la boma della randa e poi picchiamo dentro all’albero maestro. Ci potranno servire per un primo punto d’appoggio.

— Ben detto, signor Emilio. —

La boma, staccata alla base, fu gettata in mare tenendola attaccata ad un gherlino, poi i tre uomini assalirono vigorosamente l’albero maestro.

Ormai non si illudevano più sulla salvezza del veliero. L’incendio, quantunque vigorosamente combattuto dall’equipaggio, il quale non cessava un solo istante di manovrare le pompe, guadagnava rapidamente e minacciava l’intera alberatura.

La grande fiamma, per un istante domata, tornava a irrompere attraverso il boccaporto, bruciando le vele e i cordami. Da un istante all’altro poteva avvenire la spaventevole esplosione.

Il capitano e il secondo, pur continuando a maneggiare con furore le scuri, impallidivano a vista d’occhio ed anche il loro compagno cominciava a perdere la sua ammirabile calma. Vi erano certi momenti in cui s’arrestavano per tendere gli orecchi onde meglio raccogliere i sordi brontolii delle fiamme divoratrici o gli scricchiolii dei corbetti che si fendevano o il fragore dei puntali che cadevano a due per volta.