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Sull’albero maestro 9

saldo di costole, di forme eleganti come tutti i navigli che si costruiscono dai Liguri, con un solido sperone e portava splendidamente la sua alta alberatura da brigantino a palo.

Il capitano Martino Falcone, uno di quei lupi di mare della riviera, pieno d’audacia e d’energia, l’aveva acquistato coi suoi risparmi, e da vero discendente del grande Colombo aveva intrapreso lunghe navigazioni, più pericolose sì ma ben più rimunerative del grande e piccolo cabotaggio.

Formato un equipaggio di scelti marinai, raccolti in tutti i porti dell’Adriatico e del Tirreno, aveva intrapreso arditi viaggi in India, nell’Estremo Oriente ed anche nel grande Oceano Pacifico, infischiandosene delle tempeste, dei tifoni dei mari della China, e delle pericolose scogliere della Malesia e della Polinesia.

Per nove anni aveva percorso tutti quei mari con invidiabile fortuna, accumulando somme assai rotonde, affrontando vittoriosamente le ire dei marosi e le furie dei venti e senza mai cambiare i suoi bravi marinai dei quali mai aveva avuto a dolersi, ma nel suo penultimo viaggio, la fortuna aveva cominciato ad abbandonarlo.

Una tempesta che lo aveva sorpreso all’entrata dello stretto di Malacca, mentre da Rangun si recava a Singapur, aveva malmenata la sua nave in tale modo, da costringerlo, appena giunto a destinazione, a metterla in cantiere per delle lunghe riparazioni.

Quella disgrazia doveva essergli fatale.

Due dei suoi più valenti marinai, stanchi di quel riposo prolungato, avevano rotto l’arruolamento e si erano imbarcati su altre navi, sicchè, giunto il momento della partenza, aveva dovuto mettersi in cerca d’altri per completare l’equipaggio.

La mala fortuna gli aveva fatto trovare due marinai maltesi, sbarcati alcune settimane prima da una nave inglese. Perchè avevano lasciato la nave che dalle acque del Mediterraneo li aveva portati sulle coste della Malacca?... Nes-