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156 Capitolo ventitreesimo

lassù di scoprire le capanne o i villaggi che supponevano eretti su quelle spiagge.

Le voci a poco a poco si allontanarono verso l’ovest e il silenzio ritornò nella foresta. Anche dalla parte del mare non si udivano più tuonare le spingarde della piccola nave.

Il signor Albani e il marinaio, quantunque desiderassero ardentemente di lasciare quel nascondiglio e di ripiegarsi verso la caverna, non osarono muoversi, per paura che qualche pirata si trovasse imboscato a breve distanza da loro.

Trascorse un’ora, poi un’altra, ma le voci non si udirono più; solamente i pappagalli ed i tucani-rinoceronti continuavano a cicalare sulle più alte cime degli alberi.

— Tentiamo la sorte, signore, — disse Enrico. — Piccolo Tonno sarà molto inquieto non vedendoci a ritornare e poi stritolerei volentieri un biscotto.

— Sali prima sui rami superiori e guarda se scorgi qualcuno. L’albero è alto assai e forse potrai vedere ciò che succede anche sulla spiaggia. —

Il marinaio non si fece ripetere l’ordine. Aggrappandosi ai rami e ai calamus, raggiunse le cime più elevate e di là girò gli sguardi.

Essendo quell’albero uno dei più alti della foresta, potè senza fatica scorgere un grande tratto della costa settentrionale.

Il tia-kau-ting era ancorato nella piccola cala, ma sotto le rupi. Un albero era stato abbassato e sulla spiaggia degli uomini erano occupati ad atterrare una pianta dal fusto diritto.

— Ora comprendo perchè quei birbanti hanno approdato, — mormorò il marinaio. — Avevano il trinchetto da cambiare. —

Abbassò gli sguardi verso la piantagione di bambù; ma vide che alte canne erano immobili, segno evidente che nessun uomo stava attraversandola. Guardò verso la montagna e gli parve di vedere dei corpi apparire e scomparire fra i cespugli e i macchioni.