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Il varo della «Roma» 183

La Roma virò di bordo sul posto, rasentò la spiaggia a tribordo, superò la piccola scogliera che si staccava dalla caverna marina e si slanciò sulle onde, inclinata graziosamente a babordo.

Filava come un uccello marino, balzando leggermente sui flutti e spezzando le onde spumeggianti. Pareva che avesse perduto la sua pesantezza e che non trovasse alcuna difficoltà nelle brusche virate di bordo, che il marinaio e il mozzo le facevano fare.

Dopo d’aver bordeggiato un po’ al largo, i Robinson piegarono verso l’est, volendo visitare quella parte della spiaggia che si univa alla loro caverna e che non avevano ancora potuto osservare in causa delle alte rupi, tagliate quasi a picco, che la difendevano.

Essendo il vento favorevolissimo anche pel ritorno, soffiando da levante, misero la prora verso sud-est, tenendosi a breve distanza dalla costa.

Numerose scogliere difendevano l’isola da quel lato, alte assai, sventrate e minate dall’eterna azione dei flutti. Si vedevano sovente delle caverne marine assai spaziose, entro le quali si precipitavano, con fragore assordante, le onde e dove di quando in quando si vedevano uscire dei tentacoli armati di ventose.

Pareva che in quelle nere cavità abbondavano dunque dei grossi polipi, dei cefalopodi non però così grandi come quello che aveva assalito i naufraghi la notte in cui erano approdati su quell’isola.

Anche i pesci abbondavano e si vedevano nuotare in gran numero attraverso le acque trasparenti e tranquille dei piccoli seni.

Il veneziano che osservava attentamente, vedendo il mozzo immergere rapidamente un braccio armato di coltello per colpire una specie di raja col corpo assai appiattito e arrotondato a forma di disco, colle natatoie pettorali assai ampie e la coda piatta, che passava presso la poppa, con un grido lo arrestò.