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188 Capitolo ventisettesimo

sopra e nero lucentissimo sotto; di splendidi fagiani, di epimachi reali neri, turchini, verdi e rossi, e di alcioni i quali volteggiavano superbamente sopra la superficie del mare.

Verso il mezzodì, nel momento che stavano rosicchiando alcuni biscotti, i due Robinson scorsero, in fondo ad una baia dalle sponde tagliate a picco, degli alberi così enormi, da strappare a entrambi delle esclamazioni di sorpresa.

Erano alti più di cento metri e così grossi che otto uomini non sarebbero stati capaci di abbracciarli. Rassomigliavano alle querci giganti della California, ma portavano dei fiori rossi, molto larghi, i quali tramandavano un profumo così acuto, che si espandeva per parecchie centinaia di metri sul mare.

— Cosa sono? — chiese il marinaio.

— Non lo saprei, — disse Albani, — ma somigliano a certi alberi scoperti ultimamente nell’isola di Formosa.

— Quei colossi devono avere un bel numero di anni.

— Certo, Enrico.

— Ditemi, signore, vivono molto gli alberi?

— Delle migliaia d’anni, taluni.

— Delle migliaia d’anni!... Volete burlarvi di me, signore?...

— Niente affatto. Si sa che gli ontani, per esempio, vivono in media 360 anni, l’edera 450, gl’ippocastani 600, gli ulivi 700, i cedri 850, e le querce perfino 1500 anni.

— Fulmini!... Millecinquecento anni!...

— Oh ma vi sono delle piante che hanno resistenza ben più lunga. Gli annali botanici ricordano dei tigli di 2000 anni, dei castagni e dei platani di 1200 anni e anche dei rosai celebri che varcarono i dieci secoli. Gli alberi che hanno maggior durata sarebbero invece i baobab, alberi enormi che crescono in Africa e se ne sono veduti alcuni, ai quali i botanici non hanno esitato a dare sessanta secoli di vita.

— Seimila anni!...

— Sì, Enrico.

— E gli animali che campano di più, quali sarebbero?

— Le tartarughe giganti dell’Imalaya.