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Gl’incendiarii della «Liguria» 191

— Che ci sia qualche carta, ai piedi di quell’albero?...

— È precisamente per accertarmi di ciò, che dirigo la scialuppa verso quella rupe.

— Forse sapremo chi sono quegli uomini, signore, — disse il marinaio.

— Speriamolo. —

Virarono di bordo e diressero la scialuppa verso la sponda. In quel punto la costa si ripiegava formando una profonda insenatura, chiusa all’estremità da una grande rupe che si innalzava per ottanta o novanta metri.

Tutto il ciglione dell’alta spiaggia era coperto d’alberi, sopra i quali si vedevano svolazzare grandi stormi di anhinga, uccelli che hanno il collo così lungo che valsero a loro il nome di uccelli serpenti, sormontato da una testa piccola, affilata, cilindrica, con un becco acuto e diritto.

Questi volatili sono valenti nuotatori, avendo i piedi palmati, ma a terra si trascinano penosamente. Diffidenti assai, non meritano un colpo di fucile, poichè la loro carne è detestabile come quella dei cormorani.

Arenata la scialuppa su un piccolo banco di sabbia, Albani ed il marinaio si misero a scalare la rupe, aggrappandosi ai rotang che pendevano dall’alto e puntando i piedi nelle fessure.

In dieci minuti si trovarono sulla cima, dinanzi a quella specie d’albero sormontato dallo straccio. Un cumulo di sassi s’innalzava presso la base e pareva che nascondesse qualche cosa.

— Vi è qualche documento lì sotto, — disse il veneziano.

Con una scossa fece crollare quel cumulo ed ai loro occhi apparve una bottiglia, sulla quale stava scritto in lettere dorate:

«Marsala-Palermo»

I due Robinson si guardarono in viso l’un l’altro, colla più grande sorpresa.

— Marsala! — esclamò Albani. — Che questa bottiglia abbia appartenuto ad una nave italiana?...