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206 Capitolo ventinovesimo

le onde a rimbalzare a prodigiosa altezza, come se trovassero degli ostacoli continui.

Il mare intanto non cessava dall’ingrossare spaventosamente e il vento ululava sinistramente fra l’attrezzatura della piccola scialuppa. La notte era calata con grande rapidità e quelle tenebre, che solo di tratto in tratto venivano rotte da qualche lampo, rendevano maggiormente critica la situazione dei Robinson, poichè non potevano quasi più scorgere i frangenti che si moltiplicavano dinanzi a loro.

Enrico, a prora, sbarrava gli occhi e segnalava al veneziano i luoghi dove le onde si rompevano, ma non sempre riusciva a scorgere le scogliere o presentire la vicinanza dei banchi subacquei. Già due volte la scialuppa aveva toccato uno di quei numerosi ostacoli, correndo il pericolo di rovesciarsi o di spaccarsi.

Marino, colla scotta in mano, si teneva pronto a stringere il vento od a lasciar andare la vela, mentre Albani manovrava il lungo remo che serviva di timone.

Si erano già allontanati dall’isola di cinque o sei miglia, ma quella fila di scogli continuava a pararsi dinanzi a loro senza permettere il passaggio. La scialuppa fortunatamente resisteva alla furia del vento e del mare, ma danzava disperatamente, precipitando negli avvallamenti dei marosi con delle scosse inquietanti, e di quando in quando imbarcava acqua.

A un tratto, al chiarore d’un lampo, Enrico scorse verso l’est una massa oscura che sembrava uno scoglio di grandi dimensioni o un isolotto.

— Fulmini e terremoti! — esclamò.

— Cos’hai? — chiese Albani.

— Temo, signore, che dovremo spingerci assai lontani se vorremo girare questa dannata catena di frangenti. Mi sembra che si spinga fino a quell’isolotto che ho scorto all’est.

— Lontano assai?...

— Parecchie miglia certo. —

Albani, non ostante il suo coraggio straordinario, provò una vera inquietudine.