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Sullo scoglio 221

la vetta, portando con loro delle piante rampicanti secche e dei rami strappati ai cespugli, per tentare dei segnali.

Appena giunti sulla cima guardarono verso l’isola, la cui alta montagna si disegnava confusamente sull’orizzonte stellato, cercando di scoprire qualche punto luminoso che indicasse la direzione della capanna aerea.

— Guardate, signor Albani, — disse a un tratto il maltese, che teneva gli sguardi fissi verso nord-ovest.

Il veneziano ed Enrico guardarono nella direzione indicata e sul margine estremo della loro isola, quasi a fior d’acqua, scorsero un lumicino che non poteva confondersi colla luce d’una stella.

— È Piccolo Tonno che si prepara la cena dinanzi alla capanna, — disse Enrico. — Se quel bravo ragazzo sapesse che noi lo spiamo ansiosamente e che invochiamo il suo aiuto! Ah! Come sarei contento di dividere il suo pasto!

— Sì, — disse Albani. — Quel fuoco è stato acceso dal ragazzo. Non mi ero ingannato sulla posizione di questo scoglio. Deve essere quello che noi abbiamo scorto dalla finestra della nostra caverna.

— Dunque noi ci troviamo di fronte ai nostri magazzini?

— Se non proprio di fronte, un po’ più al sud, ma a venticinque o trenta miglia di distanza.

— Credete che Piccolo Tonno possa scorgere il nostro fuoco?

— Certo, Enrico.

— E che accorra in nostro aiuto?

— Ecco quello che non possiamo sapere. Può temere che il fuoco sia stato acceso da pirati e invece di farci dei segnali, fuggire.

— Diavolo, — mormorò Enrico, grattandosi furiosamente la testa. — Ma non vedendoci ritornare, dovrebbe immaginare che una disgrazia ci è toccata.

— Ma dovranno trascorrere prima parecchi giorni, non avendogli fissata l’epoca del nostro ritorno. Però, vedendo